2 agosto 2012

Siamo anche noi orfani degli 85 di Bologna

Ho letto ultimamente un bel romanzo di Maurizio Maggiani. Il titolo è "Meccanica Celeste". Oggi mi è tornato in mente. Perché oggi è il 2 Agosto. E il 2 Agosto 1980 a Bologna morirono 85 persone dentro una sala d'aspetto della stazione ferroviaria di Bologna. Oggi sono 32 anni. E ancora non abbiamo verità.
Nel libro di Maggiani c'è questa ragazza, la Nìta, che è miracolosamente sopravvissuta, unica della sua famiglia, alla strage di Bologna.
[...] Sono venuto a sapere da lei quello che già sapevo sul suo conto, e altro che sentivo per la prima volta. Mi ha detto tutto quanto in modo piano, dolce, come se avesse premura di spiegarmi qualcosa che avrei fatto fatica a ricordare. Mi ha detto di aver avuto un padre, una madre e una sorella più grande, che l’ultima volta che li aveva visti stavano tutti quanti litigando con lei che voleva a ogni costo un ghiacciolo all’amarena proprio mentre l’altoparlante della stazione diceva che stava per arrivare il loro treno. Mi ha detto che l’ultima cosa che sua madre le ha detto è stata: smettila, per favore. E lei l’avrebbe smessa comunque, perché non aveva mai visto sua madre così esasperata, e sudata. Andavano al mare dalla zia, in un posto che a lei piaceva moltissimo, a Cesenatico, sul Mare Adriatico; un posto così bello che lei era sicura di voler bene più a sua zia che a sua madre. Mi ha detto che si ricorda di suo padre voltato di spalle, imbronciato con lei che era la sua preferita; era così alto che se voleva fare la pace con lui doveva ancora arrampicarsi su per le gambe, e poi aggrapparsi alla sua cinta, e poi ancora su per un metro, prima di arrivare a strofinarsi contro la sua guancia spinosa di barba. [...]
[...] È stata la sua cura, e dice che ha funzionato. Quando a diciott’anni è andata a studiare a Bologna, non le ha dato nessun particolare fastidio passare ogni mattina e ogni sera dalla sala dove a cinque anni aveva litigato per il colore di un ghiacciolo un attimo prima di perdere la sua famiglia. E per avere una prova irrefutabile della bontà della cura, è restata a vivere con la zia Edda per tutto il tempo dell’università, viaggiando in treno, come tanti dei suoi amici del mare. Lei calcola di essere passata dalla sala del ghiacciolo non meno di mille e duecento volte, senza mai provare qualcosa di speciale. Solo, ogni volta, si fermava un attimo davanti alla targa di pietra dove sono scritti i nomi di suo padre, di sua madre e di sua sorella. E già che c’era dava una scorsa a tutti gli altri nomi. Così che li ha imparati a memoria. E questa è la parte della cura che ha deciso di intraprendere di sua iniziativa. 
La tranquillizza molto conoscere uno per uno tutti quelli che erano lì quella mattina mentre lei faceva i capricci. Le dà l’idea che fossero tutti li assieme, una grande famiglia che se ne andava a fare i bagni a Cesenatico dalla zia signorina. La mette a suo agio di poterli chiamare ciascuno con il proprio nome e ricordarsi di loro a quel modo tutte le volte che gliene viene voglia. Preferisce così: sapere di essere orfana di tutti quanti e ottantacinque; preferisce non fare preferenze. [...]


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