16 luglio 2014

L'impunità di Israele

18 gennaio 2009. Mentre è in corso l'operazione Piombo Fuso nella striscia di Gaza, Eduardo Galeano, scrittore sudamericano a me molto caro, pubblica sulla rivista La Jornada un articolo sulla guerra israelo-palestinese. Oggi, mentre è in corso l'ennesimo attacco israeliano nella striscia di Gaza, le parole di Galeano (di cui riporto la traduzione) sono drammaticamente ancora attuali. E per quanto mi riguarda, sottoscrivo in pieno.

*****

Per giustificarsi, il terrorismo di Stato produce terroristi: semina odio e raccoglie alibi. Tutto sta ad indicare che questa carneficina a Gaza, che secondo i suoi autori vuole eliminare i terroristi, riuscirà a moltiplicarli.

Dal 1948, i palestinesi vivono condannati ad una umiliazione perpetua. Non possono nemmeno respirare senza permesso. Hanno perso la loro patria, le loro terre, la loro acqua, la loro libertà il loro tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere i loro governanti. Quando votano chi non devono votare vengono puniti.
Gaza sta subendo una punizione. Da quando Hamas ha vinto in modo regolare le elezioni del 2006, è diventata una trappola senza uscita. Qualcosa di simile era successo anche nel 1932, quando il Partito Comunista trionfò nelle elezioni de El Salvador. Zuppi di sangue i salvadoregni dovettero espiare la loro cattiva condotta e da allora hanno dovuto vivere sottomessi alle dittature militari. La democrazia è un lusso che non tutti meritano.

Sono figli dell’impotenza i razzi rudimentali che i militanti di Hamas, assediati a Gaza, lanciano con scarsa precisione sulle terre che un tempo erano dei palestinesi e che l’occupazione israeliana ha usurpato. E la disperazione, al limite della follia suicida, è la madre delle bravate che negano il diritto all’esistenza d’Israele. Urla senza alcuna efficacia. Mentre la efficacissima guerra di sterminio sta negando, da anni, il diritto all’esistenza della Palestina. Ormai rimane poco della Palestina. Giorno dopo giorno, Israele la sta cancellando dalle mappe. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati ne modificano i confini. I proiettili consacrano l’espropriazione alla legittima difesa. Non esiste guerra aggressiva che non dichiari di essere una guerra difensiva. Hitler invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania. Bush ha invaso l’Irak per evitare che l’Irak invadesse il mondo. In ciascuna delle sue guerre difensive, Israele si è mangiato un pezzo della Palestina e i banchetti vanno avanti. Questo divorare è giustificato dai titoli di proprietà che la Bibbia ha ceduto, per i duemila anni di persecuzione che il popolo giudaico ha subito, e per il panico che i palestinesi creano all’assedio.

Israele è il paese che non ha mai rispettato le raccomandazioni, né le risoluzioni delle Nazioni Unite, che non ha mai raccolto le sentenze dei tribunali internazionali, che si prende gioco delle leggi internazionali, è l’unico paese che ha legalizzato la tortura dei prigionieri. Chi gli ha regalato il diritto di negare il diritto? Da dove viene l’impunità con cui Israele sta eseguendo la mattanza a Gaza? Il governo spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per eliminare l’ETA. Il governo britannico non avrebbe potuto distruggere l’Irlanda per liquidare l’IRA. Per caso la tragedia dell’Olocausto implica una polizza di eterna impunità? O questa luce verde proviene dalla potenza capetto che ha in Israele il più incondizionato dei suoi vassalli?

L’esercito israeliano, il più moderno e sofisticato al mondo, sa chi ammazza. Non uccide per errore. Uccide per orrore. Le vittime civili si chiamano danni collaterali, secondo il dizionario di altre guerre imperiali. A Gaza, su 10 danni collaterali, 3 sono bambini. E sono migliaia i mutilati, vittime della tecnologia dello sventramento umano che l’industria militare sta provando con successo in questa operazione di pulizia etnica. E come sempre, è sempre la stessa storia: a Gaza, cento a uno. A fronte di cento palestinesi morti, un israeliano. Persone pericolose, avverte l’altro bombardamento, a cura dei grandi media di manipolazione, che ci invitano a credere che una vita israeliana vale cento vite palestinesi. Questi stessi media ci invitano a credere che sono umanitarie le duecento testate atomiche d’Israele e che una potenza nucleare chiamata Iran è stata quella che ha raso al suolo Hiroshima e Nagasaki.

La cosiddetta Comunità Internazionale esiste?
Oltre ad essere un club di commercianti, banchieri e guerrieri, cos’altro è? Cos’altro è oltre a un nome artistico che gli USA usano per le loro performance teatrali?
Di fronte alla tragedia di Gaza, l’ipocrisia mondiale ancora una volta si fa notare. Come sempre l’indifferenza, i discorsi di circostanza, le vuote dichiarazioni, le declamazioni altisonanti, le posizioni ambigue, rendono tributo alla sacra impunità.
Della tragedia di Gaza, i paesi arabi se ne lavano le mani. Come sempre. E come sempre, i paesi europei se le sfregano le mani.
La vecchia Europa, così piena di bellezza e perversità, sparge qualche lacrima mentre segretamente celebra questa tiro maestro. Perché la caccia agli ebrei è sempre stata un’abitudine europea, ma da più di mezzo secolo, questo debito storico lo si sta facendo pagare ai palestinesi, anch’essi semiti, che mai sono stati né lo sono, antisemiti. Stanno pagando con il sangue contante e sonante un conto non loro.
Eduardo Galeano

Questo articolo è dedicato ai miei amici ebrei uccisi dalle dittature latino-americane sostenute da Israele

15 luglio 2014

Restiamo umani. Basta foto di bambini morti in guerra.

Succede così. In questi tempi in cui i flussi informativi sono ultra ramificati e orizzontali.
Mentre scorri la tua timeline su facebook o twitter di imbatterti in una foto con bambini ricoperti di sangue, occhi sbarrati nel vuoto, magari qualche arto maciullato o mancante. Teste semi spappolate. Sangue. Tanto.
E te la ritrovi mischiata tra un link sul calciomercato, un meme esilarante o un selfie della tua amica delle superiori (ora quarantenne) che commenta "Sole Time!! Ke bellooooo!!".

Perché? Perché buttare un'immagine così in uno spazio eterogeneo? Volete sensibilizzare? Chi, cosa, quando?
L'unica cosa che avrete ottenuto è di far sapere non che stanno morendo bambini a Gaza, ma "come" stanno morendo questi bambini. State suscitando solo curiosità morbosa. E' il YouPorn della guerra.
Come se non bastassero più le parole "morto" e "bambino" nella stessa frase a suscitare in noi attenzione.
Si banalizza il tutto. E' analfabetismo dei sentimenti.
Ditemi. Ma per sensibilizzarvi contro la pedofilia vi serve una foto in cui un bambino viene sodomizzato da un vescovo? O per capire che picchiare un bambino è sbagliato dovete prima guardare una foto di un visino angelico col naso fratturato da un cazzotto del padre?

I motivi della guerra non interessano. L’attenzione è attratta da questioni emotive che esaltano la proiezione narcisistica. Stanno morendo dei bambini! Guardate come mi indigno e come sono sensibile. Perché voi merde non vi indignate e continuate a vedere e commentare i mondiali di calcio? Perché continuate a pubblicare le foto dei vostri lauti pranzi, colazioni e cene? Stanno morendo dei bambini! Sveglia! (111!!!!11!)

Questa enfasi sui bambini è veramente borghese (nel senso più spregevole del termine). Fa il paio con il disumano amore per gli animali, in particolare i cuccioli di animali.
Ma fatemi capire. Se quindi io postassi una foto di un 52enne morto accidentalmente per un bombardamento, vi lascerebbe indifferenti? Devono essere bambini per forza?
Da queste parti la vita umana è sacra, sempre, anche a 90 anni.

Però le uniche foto che vale la pena di condividere sono quelle dei bambini morti. E così facendo ecco che ci sentiamo apposto con la nostra coscienza. Abbiamo alimentato la nostra SuperSensibilità e fatto vedere al mondo intero che noi siamo per la causa giusta e voi, voi beceri cazzari insensibili, siete solo pieni di contraddizioni.
E non conta che tutto questa avvenga stando seduti comodamente sul divano di casa vostra in WiFi sorseggiando dell'ottimo caffè e fumando una bella sigaretta. Utilizzando uno strumento (facebook) di proprietà di un ragazzo americano miliardario che fa lobbing e che è molto vicino al governo americano. Governo americano che appoggia (e finanzia) la politica militare di Israele. Magari abbiamo postato il tutto grazie ai nostri stupendi Smartphone realizzati da multinazionali che sfruttano lavoro sottopagato, anche minorile (i bambini!!!), utilizzando minerali grezzi contenenti tantalio, tungsteno, stagno e oro acquistati dai signori della guerra in Congo.

"Voglio urtare la vostra sensibilità. Se pubblico foto di bambini morti accenderò l'interesse mediatico sull'ennesimo attacco di Israele contro l'indifeso e martoriato popolo palestinese".
E' così, vero? E' questo il vostro scopo?
Poco importa se poi alcune delle foto che girano siano di bambini siriani morti l'anno scorso. Sì, ci sono anche i bambini siriani. Come ci sono quelli in Angola. In Ucraina. In Repubblica Centroafricana.
Perché non è che Israele sia particolarmente crudele rispetto al resto dell'umanità. E' la guerra che è crudele. E ovunque oggi ci sia una guerra, ci sono bambini che muoiono.
Però, per ragioni storiche tutte italiane e di dinamiche politiche nostre interne, il conflitto israelo-palestinese suscita nelle varie fazioni riflessi pavloviani con conseguenti chiamate alle armi e messa in scena dell'ennesimo teatrino tra guelfi e ghibellini.
(scanso equivoci il sottoscritto da anni perora la causa del popolo palestinese contro lo strapotere e l'arroganza di Israele. Ci tengo però a sottolineare che per quanto mi riguarda Hamas sta facendo più danni alla causa palestinese di Israele)

Basta. Basta con queste foto di bambini morti. Rispettiamoli, almeno da morti.
Possiamo, anzi, dobbiamo sensibilizzare l'opinione pubblica con la forze delle nostre idee. Informiamoci, informiamo. Le idee valgono più di cento foto truculente.
Restiamo umani. Come diceva spesso Vittorio Arrigoni, che in Palestina ci ha lavorato come reporter e attivista per la pace (salvo poi poi trovarci la morte).
Vittorio nel un suo libro "Gaza. Restiamo umani" scriveva:
Ieri ho scattato alcune fotografie in bianco e nero alle carovane di carretti trascinati dai muli, carichi all'inverosimile di bambini sventolanti un drappo bianco rivolto verso il cielo, i volti pallidi, terrorizzati. Riguardando oggi quegli scatti di profughi in fuga, mi sono corsi i brividi lungo la schiena. [...] Ho una videocamera con me ma ho scoperto oggi di essere un pessimo cameraman, non riesco a riprendere i corpi maciullati e i volti in lacrime. Non ce la faccio. Non riesco perché piango anche io.


Riassunto dei Mondiali di calcio 2014

Ecco il mio personalissimo riassunto dei Mondiali di calcio 2014 in Brasile. Grazie al magnifico sito 8bit-football.com e all'autore Matheus Toscano per le immagini. (via TheVerge)







14 luglio 2014

Duevirgolasettecentimetri


Duevirgolasettecentimetri.
Quasi tre centimetri. Che se li fai utilizzando pollice e indice come inizio e fine, viene fuori una bella U con una campata abbastanza ampia.
Adesso immaginate una sfera con quel diametro, duevirgolasettecentimetri, dentro ad un sacchetto di circa dieci centimetri di lunghezza con un capienza di cinquanta millilitri. Direi che ci va proprio stretta.
Dunque. Nella mia colecisti (il sacchetto di cui sopra) si era stabilmente insediato, da qualche anno, senza alcuna autorizzazione del sottoscritto, un calcolo, una pietra, una pallina, insomma un ammasso solido di duevirgolasettecentimetri di diametro. La medicina la chiama Colelitiasi. Io nel tempo l'ho chiamata in vari modi, di cui il più gentile è stato "porcadiquellatroia".



12 luglio 2014

Perché Massimo Troisi aveva capito tutto


Perché Massimo Troisi aveva capito tutto.

Nel film "No grazie, il caffè mi rende nervoso", Troisi aveva in modo esemplare, anche se in modo grottesco e comico, messo in scena l'eterna lotta in questa città tra chi la vorrebbe cambiare e chi la vorrebbe eternamente uguale a se stessa.
Troisi in tutta la sua carriera ha cercato in ogni modo di affrancare se stesso e Napoli da tutti i cliché e luoghi comuni che impediscono alla nostra terra di emanciparsi.
Napoli va guardata in faccia. E come si fa con i propri cari e con gli amici, le vanno dette le cose che non vanno. Con sincerità. Per il suo e per il nostro bene.

Guardate, è un modo di pensare. Se ad ogni problema conclamato della città invece di chinare la testa umilmente ammettendo lo stato delle cose e magari cercando una soluzione, sfoderiamo tutto il nostro orgoglio partenopeo gonfiandoci il petto di sole, Borbone, pizza, arte di arrangiarsi e compagnia bella, credetemi, non ne usciamo. Resteremo lì, a specchiarci nei nostri ormai vecchi fasti e nelle nostre peculiarità. Sterilmente. Specie poi se ad ogni occasione di riflessione salta fuori l'Erri de Luca di turno a dire che i parametri con cui giudicare Napoli sono ben altri e che la città, in verità, è un paradiso.

Se anche la parte più avanzata della città (dovrei dire borghesia ma suona troppo novecentesco) e parlo di tutti i laureati, professionisti, filosofi, artisti, giornalisti, burocrati, se anche questa parte si lascia ammaliare dagli stereotipi del popolino, imitandone gesti e modi di parlare, da quella indolenza mista a furbizia, dal rifuggire ai propri doveri giustificandosi con filosofia spicciola sulla caducità della vita, dal derogare alle regole per non apparire "fesso", veramente non abbiamo più tante speranze.
Napoli muore di questi atteggiamenti. Di questo modo di pensare.

E continueranno a morire i suoi figli. Magari con un pezzo di calcinaccio staccatosi da una facciata di un palazzo senza manutenzione, sotto il tronco di un albero che da mesi era stato segnalato come pericolante, sotto il palazzo della fidanzata perché scambiato per un boss della camorra, accoltellato per rapina nel centro storico, in una voragine apertasi dopo un giorno in più di piogge.

E' vero. I problemi sono tanti. Tantissimi. Irrisolti. Da tempo. Le recriminazioni abbondano. Non c'è alcuna ricetta magica o soluzione a pagina venti.
Però credo, e ne sono fermamente convinto, che già allontanando da noi e dal nostro fare quotidiano tutti gli stereotipi e gli atteggiamenti che vanno bene in una pièce teatrale o in uno sketch di cabaret ma non nello svolgimento del proprio lavoro, la nostra vita sarà migliore, potremmo migliorare la vita degli altri, creare lavoro per altri e per i nostri figli. E finalmente potremmo ritenerci degni di poter godere di un bellissimo tramonto sul golfo con il Castel dell'Ovo che galleggia sulle acque celesti stagliandosi sul Vesuvio, fotografarlo, condividerlo su Facebook e commentare "Quant'è bella la mia città!"

5 luglio 2014

A Passerano Marmorito con un bel Giumbotto

Debora Billi è responsabile comunicazione per il M5S. Alla notizia della morte di Giorgio Faletti (r.i.p.) ha diffuso questo suo nobilissimo pensiero.
(grazie a Roberto Marzialetti per la segnalazione)

E poi ho trovato questa chicca grazie a Mante.