12 luglio 2014

Perché Massimo Troisi aveva capito tutto


Perché Massimo Troisi aveva capito tutto.

Nel film "No grazie, il caffè mi rende nervoso", Troisi aveva in modo esemplare, anche se in modo grottesco e comico, messo in scena l'eterna lotta in questa città tra chi la vorrebbe cambiare e chi la vorrebbe eternamente uguale a se stessa.
Troisi in tutta la sua carriera ha cercato in ogni modo di affrancare se stesso e Napoli da tutti i cliché e luoghi comuni che impediscono alla nostra terra di emanciparsi.
Napoli va guardata in faccia. E come si fa con i propri cari e con gli amici, le vanno dette le cose che non vanno. Con sincerità. Per il suo e per il nostro bene.

Guardate, è un modo di pensare. Se ad ogni problema conclamato della città invece di chinare la testa umilmente ammettendo lo stato delle cose e magari cercando una soluzione, sfoderiamo tutto il nostro orgoglio partenopeo gonfiandoci il petto di sole, Borbone, pizza, arte di arrangiarsi e compagnia bella, credetemi, non ne usciamo. Resteremo lì, a specchiarci nei nostri ormai vecchi fasti e nelle nostre peculiarità. Sterilmente. Specie poi se ad ogni occasione di riflessione salta fuori l'Erri de Luca di turno a dire che i parametri con cui giudicare Napoli sono ben altri e che la città, in verità, è un paradiso.

Se anche la parte più avanzata della città (dovrei dire borghesia ma suona troppo novecentesco) e parlo di tutti i laureati, professionisti, filosofi, artisti, giornalisti, burocrati, se anche questa parte si lascia ammaliare dagli stereotipi del popolino, imitandone gesti e modi di parlare, da quella indolenza mista a furbizia, dal rifuggire ai propri doveri giustificandosi con filosofia spicciola sulla caducità della vita, dal derogare alle regole per non apparire "fesso", veramente non abbiamo più tante speranze.
Napoli muore di questi atteggiamenti. Di questo modo di pensare.

E continueranno a morire i suoi figli. Magari con un pezzo di calcinaccio staccatosi da una facciata di un palazzo senza manutenzione, sotto il tronco di un albero che da mesi era stato segnalato come pericolante, sotto il palazzo della fidanzata perché scambiato per un boss della camorra, accoltellato per rapina nel centro storico, in una voragine apertasi dopo un giorno in più di piogge.

E' vero. I problemi sono tanti. Tantissimi. Irrisolti. Da tempo. Le recriminazioni abbondano. Non c'è alcuna ricetta magica o soluzione a pagina venti.
Però credo, e ne sono fermamente convinto, che già allontanando da noi e dal nostro fare quotidiano tutti gli stereotipi e gli atteggiamenti che vanno bene in una pièce teatrale o in uno sketch di cabaret ma non nello svolgimento del proprio lavoro, la nostra vita sarà migliore, potremmo migliorare la vita degli altri, creare lavoro per altri e per i nostri figli. E finalmente potremmo ritenerci degni di poter godere di un bellissimo tramonto sul golfo con il Castel dell'Ovo che galleggia sulle acque celesti stagliandosi sul Vesuvio, fotografarlo, condividerlo su Facebook e commentare "Quant'è bella la mia città!"

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