27 settembre 2015

Ciao Pietro

«Pensammo una torre/Scavammo nella polvere»

Pietro Ingrao (Lenola, 30 marzo 1915 – Roma, 27 settembre 2015)


26 settembre 2015

Inside Out e il mestiere di genitore

Così, ieri pomeriggio chiudo baracca e burattini, mi fiondo giù per le scale dell'ufficio e fuori al cancello trovo tre bellissime donne in auto ad attendermi. Andiamo allora? Un unico e corale "sì!" accompagna l'accelerata dell'auto. Vediamo cosa ci racconterà questa volta la Pixar. Sono proprio curioso.
Dopo aver incrociato i dati di tutti i cinema nel raggio di venti chilometri, scopro che a Casalnuovo, a esattamente otto minuti di auto dal mio ufficio, c'è un multisala con proiettori 4k che ha in programma Inside Out alle 18:30.

Arriviamo in una struttura anni 80 che tutto sembra fuorché un cinema. Alla cassa però prima bella sorpresa. Il costo dei biglietti è molto inferiori rispetto ai multisala che di solito frequentiamo, anche se una vocina comincia a dirmi "ci sarà un motivo...".
Insomma, entriamo in sala e ci è subito chiaro "quel motivo". La sala, come tutta la struttura, è ferma agli anni 80.
I timori di aver preso un pacco svaniscono appena comincia la proiezione. Video e audio sono perfetti. Anche le poltroncine (rosse) alla fine si rivelano comode e confortevoli.
Vai. Si inizia.

Come ormai da abitudine, la Pixar ci propone un cortometraggio come antipasto al film. Questa volta tocca a "Lava", che onestamente non mi ha fatto impazzire ma che ha cercato in tutti i modi di strapparmi (riuscendoci appena) la prima lacrima della serata. Cara Pixar, non giocare sporco. 
E invece la visione del film Inside Out è finita con tutti e quattro in lacrime.
Bello, molto bello. Ho dovuto rivedere la mia personale classifica Pixar che vede saldo e inattaccabile al primo posto quel capolavoro di Monsters & Co. e che adesso vede al secondo posto questa coraggiosa storia, scalzando il pur ottimo WALL•E che fa cadere dal podio Toy Story.

La narrazione di Inside Out è coraggiosa, potente, semplice, geniale. Una piccola rivoluzione nel mondo dei lungometraggi destinati ai più piccoli. Entrare nel mondo delle emozioni, del processo cognitivo e della memoria e raccontarlo con semplicità ma anche con rigore e divertendosi. Un miracolo (ho amato da subito Tristezza, bellissima).
Mi son ritrovato a piangere ridendo. A mia discolpa, va detto che la bambina ragazza protagonista del film ha la stessa età della mia primogenita e quindi mi sono immedesimato tantissimo.

Inside Out ci dice una cosa molto vera e molto bella. Non esiste felicità e basta. Anzi, la felicità non esiste senza il suo contrario, la tristezza. Equilibrio, ci deve essere equilibrio e provare tutte le emozioni (nel film oltre alla felicità e alla tristezza troviamo anche la rabbia, la paura e il disgusto). 
Questa ricerca di equilibrio che è alla base della crescita dei nostri figli, implica la libertà per i bambini/ragazzi di poter rielaborare le loro emozioni e i loro processi cognitivi in autonomia.

E qui arriviamo, secondo me, ad un grande messaggio che ci viene da questo film.
L'eccessiva protezione e l'eccessiva presenza dei genitori nella fase di crescita di un bambino mortifica e altera l'equilibrio tra le emozioni e i processi cognitivi.
Volere a tutti i costi la felicità dei nostri figli intervenendo in prima persona pur di evitare ai nostri amati pargoli tristezza e dolore, è profondamente sbagliato.
Questo ruolo ipertrofico dei genitori ha come speculare ragazzi deboli e confusi.

Noi non ci saremo per sempre. Il più grande regalo che possiamo lasciare ai nostri figli e di averli resi autonomi, forti e in grado di avere tutti gli strumenti morali, culturali e cognitivi per poter affrontare il proprio viaggio. Ma è un viaggio che dovranno fare da soli.
Inoltre, avere anche la serenità e la consapevolezza che errori se ne faranno ma che nulla è irreparabile.

Crescere è come trovarsi davanti una tela bianca. Colori e pennelli li possiamo mettere noi. Ma il quadro lo dipingeranno loro. Da soli.

p.s.
Alla fine del film è accaduta una cosa gravissima. Mi hanno tagliato i titoli di coda, io che li vedo sempre fino alla fine ("hai risparmiato sul biglietto...ecco i risultati") e quindi non so se c'è qualche sorpresa finale. Illuminatemi se lo avete visto fino alla fine dei titoli di coda. Grazie.


20 settembre 2015

Truuutù, Tattà


Uscita Corso Malta. Casello e poi rampa per la SS162, direzione casa. Truuutù, Tattà. Truuutù, Tattà. Le ruote dell'auto passano sulle bande sonore. Truuutù. Poi sulle giunture del viadotto. Tattà.
Se ci metti una buon giro di basso esce una cosa anche carina.
Sono anni che ci passo. Truuutù, Tattà. Truuutù, Tattà. E' la colonna sonora di fine serata. Delle serate passate a Napoli. Truuutù, Tattà.
Una di quelle cose che in questi ultimi quindici anni non è mai cambiata. Truuutù, Tattà. Truuutù, Tattà. Rassicurante, in un periodo di cambiamenti. Cambia tutto. Ma qui, a differenza di Tomasi di Lampedusa, cambia veramente tutto.

Ci si è messo pure Google che di punto in bianco ha deciso di cambiare logo. Io che ancora oggi, a volte, il Twix lo chiamo Raider. Alle volte sento anche un poco la nostalgia di Berlusconi. Era bello e rassicurante avere chiaro chi fosse il PDM (pezzo di merda) e andargli a testa bassa contro.
Cambiano con dolore anche alcuni automatismi di care amicizie. Ci si trova a volte a non saper nulla e non avere parole. Si cambia, mi dico. Ma alcune di queste sarebbero potute restare intatte. Forse sì, se non fossi cambiato soprattutto io.

Cambiamenti, insomma. Arriva il giorno che tua figlia cresce. Prima media. Ci hanno detto che le sezioni migliori sono la A e la B. La Riccia è andata nella C. Noi siamo felici. Lei è felice. Non esistono sezioni migliori di altre e fare le sezioni ghetto dei "perbene" a me fa schifo. Questa cosa non è cambiata, per fortuna. Poi c'è quel monumento di Nina che è un faro quando alle volte mi capita di perdere la rotta e di avere la vista offuscata dalla nebbia di questi strani tempi. Nina mi riporta sempre in sicuri approdi. Il nostro. Che non cambia.
Truuutù, Tattà. Truuutù, Tattà.




7 settembre 2015

Quel tamarro di Cosimo Fanzago


Entrò nella chiesa, accompagnato dai monaci certosini. Piccolina, pensò. Alzò lo sguardo al soffitto e scosse la testa. Ancora quel vecchiume gotico, quegli archi di pietra grezzi del cazzo. Che tristezza questa Certosa di San Martino.
Vorremmo qualcosa di nuovo, di moderno, ma non sappiamo cosa, disse uno dei monaci.
Cosimo portò la mano al petto, fate fare a me, ci penso io, darò un tocco di eleganza e raffinatezza a questa cappelletta che vi ostinate a chiamare chiesa.
Ed ecco spuntare policromie di marmi e pietre colorate, riccioloni di marmo come un coltello caldo che sfiora il burro, putti e puttini dalle gote paffute e dai piedi pagnottosi. E poi, il colpo di classe.
Decorazioni a rosoni, con forme vegetali, dei cavolfiori, delle insalate, di marmo, giganti, attaccate ai pilastri della navata centrale. Ed anche sul soffitto, in gesso, rosoni enormi, tra un affresco e l'altro a cancellare per sempre quel pezzente di Tino da Camaino e il suo gotico da sfigato.
Quando Cosimo mostrò l'opera completata, i monaci restarono senza parole, soprattutto per il conto presentato che vedeva alla voce "marmi" una cifra con la quale all'epoca si sarebbero potute erigere quasi altre quattro certose.

Ormai a Napoli non si parlava d'altro. Cosimo Fanzago era una star, richiesto ovunque. Un Barbiere di Siviglia ante litteram. I suoi riccioli marmorei e l'uso spregiudicato dei colori erano diventati per la nobiltà napoletana un vanto da sfoggiare. Ovunque ci fosse ancora un vago ricordo gotico angioino, una parvenza di sobrietà che poteva essere scambiata per miseria, Cosimo aveva la soluzione: tonnellate di marmi, tanto che a Carrara i primogeniti maschi per un periodo vennero chiamati come lui, Cosimo.

Anche nell'austera basilica di San Lorenzo Maggiore, raro esempio di gotico transalpino alle pendici del Vesuvio, Cosimo decise di lasciare la sua firma. Ed ecco "il cappellone" di Sant'Antonio.
Una chiesa nella chiesa. Era più forte di lui, non poteva passare inosservato. No. Ed ecco ancora marmi lucidi e coloratissimi, foglie, rosoni e capitelli come se non ci fosse un domani.
Ancora oggi entrando nella basilica e guardando l'opera di Cosimo, si ha la sensazione di un gessetto stridente sull'ardesia. Un soprano che stecca il Der Hölle Rache.

Pleonastico e glamour, spietato killer del gotico, Cosimo Fanzago può essere, a ragion veduta, considerato il vero capostipite dei tamarri napoletani.

(prima che gli storici dell'arte mi mandino lettere o commenti pieni di insulti, questo racconto è una mia personale ricostruzione romanzata e fantasiosa, frutto di una domenica mattina a spasso per musei, certose e castelli. Resta però il fatto incontrovertibile che il Fanzago sia un gran tamarro).


6 settembre 2015

Brevi colloqui metropolitani [1]


- ...è bell' 'stu libbro?
- ??
- [alzando la voce] è bell' 'stu libbro??!!
- Sì...bello...non male. Lo devo ancora finire. Per adesso è bello.
- Comm' ssè chiamm'?? [abbassa la testa e legge la copertina] "La shcopa del sistema"...
- Sì, La scopa del sistema. Foster Wallace.
- Ah, ma è nu fatt' erotico?
- ...