17 gennaio 2016

Figli e figliastri

Pensateci. Motorola che negli anni 90 era "la" telefonia mobile, oggi non esiste più. Così come Nokia. Puf! Scomparsi. Nel giro di un decennio. Fagocitati dal metabolismo accelerato della silicon valley.
Cambiamenti velocissimi. Paradigmi stravolti. Eppure oggi per noi è normalissimo poter inviare una mail dal nostro smartphone seduti su treno lanciato a 300km/h. Solo dieci anni fa sarebbe stato impensabile (ci sarebbe da capire se questa innovazione abbia apportato reale benefici, ma questo è un altro discorso)

Innovazioni, dicevamo, che nel nostro paese, nonostante il nostro status di provincia dell'impero, vengono recepite senza grossi scossoni. Siamo passati dal tastierino numerico allo schermo touch da un giorno all'altro. E' stato abbastanza semplice.

Eppure. Eppure c'è un ingorgo ancora oggi nel dibattito politico in Italia sul riconoscimento delle unioni civili. Che diventano un problema lessicale. Non possiamo chiamare matrimonio l'unione di due persone dello stesso sesso. Perché? Perché ci dicono che il matrimonio è sacro. 
Onorevole, ma lei non ha già divorziato due volte? Cosa c'entra? Lei è un provocatore!  
Matrimonio è solo quello col pisello e la patonza. Vai con l'acrobazia linguistica, sennò chi lo sente il cardinale. Le chiamiamo “formazioni sociali specifiche”. Va bene così? Sì, però come la mettiamo con l'adozione del figliastro? L'adozione di che?? La "Stepchild adoption"! Ah! E parlate chiaro. 
No, comunque no.
Troppi cambiamenti. Già abbiamo subito lo stress del passaggio dallo scheumorfismo al flat design dell'iPhone, figurati adesso le adozioni ai ricchioni. Onorevole, si chiamano gay. E io che ho detto?

Senta, però adesso basta con 'sta rottura di palle delle unioni civili, mi dica invece, lei è riuscito a scaricare le nuove emoji per whatsapp? Dicono che basti digitare "Subcomandante Marcos" ed esce la faccia di Gennaro Migliore.


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