30 maggio 2017

L'indotto di Gomorra


Probabilmente, più che della bontà di un progetto musicale, stiamo tutti parlando di una strategia comunicativa. Emblematici sono in questo senso i video delle due canzoni, che raccontano la storia di una coppia di adolescenti di estrazione popolare, prima dal punto di vista di lei (9 Maggio), tradita e abbandonata da lui, e poi da quello di lui (Tu t’e scurdat’ ‘e me), che recrimina per la fine di un’avventura interclassista con una ragazza di buona famiglia (tutto comunque già visto nelle pellicole anni Ottanta di Nino D’Angelo). Quello che vince è la fotografia dei due videoclip, la nuova cartolina di una Napoli cupa, romantica ma decadente, che nella sua finta intenzione di oltrepassare i cliché oleografici ne va a costruire di nuovi. È la fotografia di Gomorra la serie o, a un livello meno riuscito, dei film di De Angelis e delle fiction tratte dai romanzi di De Giovanni, che ricerca (e in effetti trova) le angolazioni più efficaci per far convivere il lungomare e i vicoli bui del centro, la Gaiola e l’architettura postmoderna di periferia, il rodeo di piazza Mercato e lo sfascio ereditato da Italia ’90 alle spalle del San Paolo. Sullo sfondo, l’identità elementare del tifo calcistico, capace di tenere insieme un pubblico socialmente trasversale, che infatti l’operazione Liberato coinvolge.
(via Napoli Monitor)

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