7 settembre 2015

Quel tamarro di Cosimo Fanzago


Entrò nella chiesa, accompagnato dai monaci certosini. Piccolina, pensò. Alzò lo sguardo al soffitto e scosse la testa. Ancora quel vecchiume gotico, quegli archi di pietra grezzi del cazzo. Che tristezza questa Certosa di San Martino.
Vorremmo qualcosa di nuovo, di moderno, ma non sappiamo cosa, disse uno dei monaci.
Cosimo portò la mano al petto, fate fare a me, ci penso io, darò un tocco di eleganza e raffinatezza a questa cappelletta che vi ostinate a chiamare chiesa.
Ed ecco spuntare policromie di marmi e pietre colorate, riccioloni di marmo come un coltello caldo che sfiora il burro, putti e puttini dalle gote paffute e dai piedi pagnottosi. E poi, il colpo di classe.
Decorazioni a rosoni, con forme vegetali, dei cavolfiori, delle insalate, di marmo, giganti, attaccate ai pilastri della navata centrale. Ed anche sul soffitto, in gesso, rosoni enormi, tra un affresco e l'altro a cancellare per sempre quel pezzente di Tino da Camaino e il suo gotico da sfigato.
Quando Cosimo mostrò l'opera completata, i monaci restarono senza parole, soprattutto per il conto presentato che vedeva alla voce "marmi" una cifra con la quale all'epoca si sarebbero potute erigere quasi altre quattro certose.

Ormai a Napoli non si parlava d'altro. Cosimo Fanzago era una star, richiesto ovunque. Un Barbiere di Siviglia ante litteram. I suoi riccioli marmorei e l'uso spregiudicato dei colori erano diventati per la nobiltà napoletana un vanto da sfoggiare. Ovunque ci fosse ancora un vago ricordo gotico angioino, una parvenza di sobrietà che poteva essere scambiata per miseria, Cosimo aveva la soluzione: tonnellate di marmi, tanto che a Carrara i primogeniti maschi per un periodo vennero chiamati come lui, Cosimo.

Anche nell'austera basilica di San Lorenzo Maggiore, raro esempio di gotico transalpino alle pendici del Vesuvio, Cosimo decise di lasciare la sua firma. Ed ecco "il cappellone" di Sant'Antonio.
Una chiesa nella chiesa. Era più forte di lui, non poteva passare inosservato. No. Ed ecco ancora marmi lucidi e coloratissimi, foglie, rosoni e capitelli come se non ci fosse un domani.
Ancora oggi entrando nella basilica e guardando l'opera di Cosimo, si ha la sensazione di un gessetto stridente sull'ardesia. Un soprano che stecca il Der Hölle Rache.

Pleonastico e glamour, spietato killer del gotico, Cosimo Fanzago può essere, a ragion veduta, considerato il vero capostipite dei tamarri napoletani.

(prima che gli storici dell'arte mi mandino lettere o commenti pieni di insulti, questo racconto è una mia personale ricostruzione romanzata e fantasiosa, frutto di una domenica mattina a spasso per musei, certose e castelli. Resta però il fatto incontrovertibile che il Fanzago sia un gran tamarro).


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