14 luglio 2014

Duevirgolasettecentimetri


Duevirgolasettecentimetri.
Quasi tre centimetri. Che se li fai utilizzando pollice e indice come inizio e fine, viene fuori una bella U con una campata abbastanza ampia.
Adesso immaginate una sfera con quel diametro, duevirgolasettecentimetri, dentro ad un sacchetto di circa dieci centimetri di lunghezza con un capienza di cinquanta millilitri. Direi che ci va proprio stretta.
Dunque. Nella mia colecisti (il sacchetto di cui sopra) si era stabilmente insediato, da qualche anno, senza alcuna autorizzazione del sottoscritto, un calcolo, una pietra, una pallina, insomma un ammasso solido di duevirgolasettecentimetri di diametro. La medicina la chiama Colelitiasi. Io nel tempo l'ho chiamata in vari modi, di cui il più gentile è stato "porcadiquellatroia".


Perché quando il suddetto ospite, alquanto indesiderato, durante la notte aveva la brillante idea di muoversi, iniziava un dolore potente, forte, intenso, tanto da svegliarmi. Un bruciore avvertito tra la fine dello sterno e la bocca dello stomaco e contemporaneamente una fitta dietro la schiena quasi alla stessa altezza. Insomma, trafitto.
Ho curato questo dolore negli anni attribuendolo ad un problema gastrico. All'inizio ho ingurgitato bustine di gaviscon che, per i profani, è un liquido con la caratteristica di avere la consistenza dello sperma.
Ovviamente non accadeva nulla. Quindi son passato al maalox che invece ti fa capire come possa essere gustoso masticare un gessetto da lavagna. E anche qui, nulla. Il dolore continuava, autonomo, per poi scomparire da sé.
Dolore che le prime volte durava un paio d'ore, poi sempre più.
Fino ad arrivare ad una mattina, anzi dovrei dire alba, in cui ho dovuto svegliare Nina. Io ero sveglio dall'una di notte. Per passare il tempo e distrarmi dal dolore mi ero letto tutta la storia sul disastro di Černobyl' e del "Elephant’s Foot" (leggetelo, incredibile). Il dolore durante quest'ennesimo veglione, invece di diminuire, aumentava. Nina appena apre gli occhi si ritrova un relitto umano, piegato in due dal dolore che la supplica perentoriamente  "Ti prego, portami al Pronto Soccorso".

Per chi soffre di coliche o calcoli, sa bene che il Toradol ha lo stesso effetto dell'Eroina o della Cocaina.
Quando al Pronto Soccorso di San Giuseppe Vesuviano mi hanno iniettato la flebo di Toradol, mi son sentito come Dumbo quando vedeva gli elefanti rosa.
Ok. Basta. Approfondiamo. Andiamo fino in fondo. Mi son rotto le palle.
Così ho fatto tutti gli esami del caso. Tra cui un'ecografia addominale che ha proiettato su un monitor in bianco e nero, per la prima volta in esclusiva mondiale, la simpatica sfera di duevirgolasettecentimetri.
A quel punto pochi dubbi. Calcoli alla colecisti. Dottore e che si fa in questi casi? Semplice, si toglie. La pietra? Ma no, la colecisti!
Cioè, devo togliermi un pezzo mio? Sì, ma tanto è routine. Sarà pure routine, ma comunque mi devono aprire. Ma no! Oggi si fa in laparoscopia, tre quattro giorni e vai pure a casa.
Ed ecco che come per magia, così come nella fase paternità, cominci ad entrare in un mondo tutto nuovo fatto di vocaboli, logiche, esperienze a te completamente estranee.
Quindi, manco finito di varcare la soglia dei quarant'anni, ed eccomi in lista per un bel intervento di colecistectomia. Che culo, eh?!

Seguono nell'ordine la visita con il chirurgo, una risonanza magnetica, un day hospital al Vecchio Policlinico passando per il Day Surgery "Rocco Docimo" (dove mi è sembrato di stare improvvisamente in una clinica svizzera tanto era l'efficienza, la pulizia e la cortesia pur stando in un padiglione del Vecchio Policlinico).
Poi un lungo periodo di limbo. Sì, limbo. L'attesa per la chiamata. E non sai se puoi andarti a fare un viaggio, se puoi prendere impegni a medio lungo termine, non sai quando e come questa spada di Damocle che ondeggia sulla tua testa si staccherà.

La spada alla fine si è staccata un lunedì pomeriggio. In ufficio. Il mio smartphone si illumina. Numero sconosciuto. Pronto? Signor Pinelli, sono la Dottoressa TiziaCaio, domani mattina alle sette e mezza a digiuno si faccia trovare al reparto. Domani mattina? Sì, mi raccomando a digiuno da mezzanotte. Mi devo ricoverare? Sì, la operiamo.

Arriviamo alle sette e dieci al reparto. Io e Nina. Valigia a seguito. Attendiamo parecchio prima che si metta in moto il carrozzone del reparto. Ad un tratto un'accelerazione. Improvvisa.
Signor Pinelli, venga. Questo è il suo letto, il dieci. Questo è il suo armadietto. Si spogli. Ma mi devo mettere il pigiama? No, adesso le portiamo il camice verde. Camice? Sì, il camice, può alzare la maglietta un attimo? Ok, non è necessario depilarla. Lasci solo l'intimo. Ecco, infili qui le mani. Ma quindi mi operate "adesso"?? Sì, salga sulla barella e si stenda. Metta i piedi sotto il lenzuolo. Mi fate avvisare mia moglie? Certo, si levi anche la fede e la dia a sua moglie.
Nina, vado in sala operatoria. Prendi la fede. Sì, mi sto cacando sotto. In bocca al lupo. Crepi. Ti amo. Ti amo. A dopo. Ma quest'ascensore quando arriva? Ma state andando in chirurgia? Allora portate questa maglietta al bambino che sta dentro.
Terzo piano. Chirurgia. Vengo parcheggiato in sala d'attesa. Siamo io steso in barella e Michele con sua madre. Michele è un bel bimbo di un anno. Ha il palato non completamente chiuso. Deve fare un intervento maxillofacciale. Gli porgo la maglia che un infermiere mi aveva affidato. E' una mini maglia della nazionale italiana di calcio. Numero 22. Insigne. La mamma di Michele mi sorride. E' palesemente nervosa. Come lo sono io. Parliamo. Di dove sei, che devi fare, quanti anni hai. Mi presenta Michele. Giochiamo un poco per distrarci a vicenda. Michele mi vuoi dare un poco il ciuccio? Hai visto il camice verde che ho? Sembro Hulk.
Lei è Pinelli Colecisti? Sì, presente! Sono diventato un cognome seguito da una patologia. Vengo preso e trasportato verso la sala operatoria. Ciao Michele! In bocca al lupo.
E mentre lo saluto arriva un medico con la mascherina a coprire bocca e naso che a tradimento infila un ago nel braccino di Michele. L'anestesia. Sento in lontananza il suo pianto. Poi entro in un stanzone. Non sento più il pianto di Michele. In bocca al lupo, piccolo.

Ad attendermi l'anestesista con l'assistente che subito mi fanno un prelievo a tradimento, riconosco la dottoressa assistente del professore che mi dovrà operare. Sta organizzando il banco dei ferri. Ci sono due infermieri che mi prendono dalla barella e mi adagiano sul letto al centro dello stanzone. Accanto a me c'è un macchinario con due grossi monitor.
Cos'è questo? E' l'apparecchiatura monitor per il laparoscopio. Salve dottoressa, tutto ok? Signor Pinelli stia tranquillo che sarà una passeggiata. Eh sì, una passeggiata. Signor Pinelli ma lei ha firmato? Cosa dovevo firmare? Ma come non ha firmato ancora?! Ma cosa? Sigonr Pinelli, il consenso. Ah, no, non ho firmato nulla. Presto portate i moduli. Intanto si sfili gli slip. Ecco i moduli. Signor Pinelli, si alzi un attimo, così facciamo un poco di addominali, una firma qui, qui e qui. Ma cos'è? Una è per l'anestesia le altre per l'intervento. Non è che poi mi arrivano le enciclopedie a casa? (la mia battuta preferita, non potevo non farla).
Arriva anche l'altro dottore che collabora con il professore che mi dovrà operare. E' molto dinamico, sicuro di sé, insomma, s'atteggia, da ordini a tutti, si avvicina al mio lettino, si china sul mio viso. Signor Pinelli tutto bene? Per adesso sì. Comincia a scartocciare dei tubi di metallo. Sono quelli che mi infileranno nel ventre per la laparoscopia.
Intanto alle mie spalle l'anestesista prende il mio braccio destro. Mi infila un ago collegato ad una flebo. Poi attaccano una clip ad un dito. Sento che mormorano qualcosa. Il battito è basso. L'assistente si affaccia sul mio viso. Signor Pinelli che sport pratica? Corro. Ah, ecco. Signor Pinelli lei ha il cuore dell'atleta. Eh, ma solo quello. Il fisico non lo è di certo. Ridono tutti.
Vedo una siringa alle mie spalle entrare nell'ago posto nel braccio destro. Signor Pinelli adesso si sentirà come dopo un paio di bicchieri di vino, le girerà un poco la testa.
Si avvicina al mio lettino una dottoressa con cuffietta piena di pupazzi, occhi dolci e mi prende la mano. Ha già pensato a cosa sognare durante l'intervento? Pensi ad una cosa bella. Bruges. Vorrei andare a Bruges con le mie donne e poi fare un bel giro del Belgio, prima che scompaia dalle carte geografiche.
Mentre sto parlando, alle mie spalle vedo un'altra siringa entrare nello stesso ago di prima. Le luci cominciano ad avere delle scie. Le palpebre sono pesanti.
Buio. Bruges. Freddo. Bruges.

Rivedo la luce nel mentre qualcuno mi sfila il tubo dalla trachea. Mi aspirano alcuni muchi in gola. Tossisco e sono un unico, grande ed immenso dolore. Gli occhi non hanno la forza di aprirsi totalmente. Ho freddo.
Signor Pinelli ma lei fuma? Sì, ma poco. Ma ha fumato anche ieri? Sì, perché? Ma non le avevano detto di non fumare almeno il giorno prima? No, ho freddo.
Mi infilano sotto il lenzuolo qualcosa che butta un getto di aria calda. Sembra un phone. Sono felice. Dove sono? Apro un poco gli occhi. Sono in paradiso. Attorniato da tutte ragazze con cuffiette colorate. Una di loro mi tiene la mano.
Dove sono? Si trova nella sala di stabilizzazione. Signor Pinelli quanti anni ha? Quaranta. Ma se li porta proprio bene, complimenti. Ma voi, piuttosto, siete giovanissime. Siamo specializzande. Che bello, voglio restare qui. Adesso la portiamo giù nella sua camera. Ho freddo, mi date un altro poco il phone?

In ascensore mi accorgo di essere completamente nudo sotto il lenzuolo. Di avere un tubo nel fianco per il drenaggio e uno ficcato nel mio intimo per il catetere. E tre cerottoni sul ventre in corrispondenza dei tre fori che mi hanno aperto per la laparoscopia.
Arrivo al reparto e rivedo finalmente Nina. Cerco la sua mano. La stringo.
Mi spostano dalla barella al mio letto tipo sacco si patate. A terra i due sacchetti, appesa una mega flebo.
Sono ancora stordito. Dormo, mi sveglio, dormo, mi sveglio. Sembro un drogato.
Il peggio è passato. Arrivano anche i miei genitori. Mi mettono una coperta addosso. Tremo dal freddo.
Tengo stretta la mano di Nina. Piano piano sento tornare il caldo nel mio corpo.
Ci guardiamo, io e lei, senza parlare. Sorridiamo entrambi. Anche questa è andata. Insieme.

Seguiranno nell'ordine. Prima notte insonne con Tiziano a vegliare accanto al mio letto. Il mio dirimpettaio di letto, Don Pietro, che da quattro mesi viene alimentato esclusivamente per via venosa, che ha una puntata di febbre a quaranta e via vai di dottori e infermieri in stanza. Alba dalla finestra dell'ospedale con mega gabbiano appollaiato sul davanzale che mi fissa. Cazzo c'hai da guardare gabbiano? Visita del professore. Signor Pinelli ha canalizzato? No. Allora deve camminare. Si alzi un poco. Arrivano altri due pazienti in stanza. Un'ernia ombelicale, Pasquale e un'ernia inguinale, l'Architetto. Roba da femminucce a confronto con il mio intervento. Per non parlare di Don Pietro. Che batte tutti.

Don Pietro. Merita un paragrafo a parte. Don Pietro, ricoverato da quattro mesi in questo reparto. Ma la storia è lunga. L'anno prima intervento di colecistectomia (come me). A Casoria. Clinica privata. Intervento laparoscopico andato in vacca. Gli sfondano l'intestino con le sonde. Lo aprono a cielo aperto per suturare l'intestino. Lo richiudono rimettendo l'intestino non correttamente in sede. Si formano delle stenosi. Dopo un mese Don Pietro è portato in ospedale d'urgenza quasi in fin di vita. Viene operato nuovamente per rimettere l'intestino correttamente in sede. Ma va storto anche questo intervento. Infezione interna. Viene riaperto nuovamente e questa volta sembra andare tutto bene. Ma prima di riprendere l'alimentazione deve nutrirsi solo per via venosa. Adesso ha una strana febbre che va e viene.
Don Pietro dice di voler fare causa ai medici che lo hanno operato. Credo che sia il minimo.
Don Pietro è uno di quei personaggi che sembrano usciti da una commedia di Eduardo. Ha sessant'anni, la figlia mi fa vedere di nascosto una sua foto prima di questa odissea ospedaliera. Vedo un uomo rubicondo con le gote arrossate con un bel baffo nero. Somiglia a Gino Cervi quando interpretava Peppone. Guardando lo stesso uomo che adesso sta davanti al mio letto, credo che abbia lasciato per strada circa trenta chili e almeno venti anni di vita.

Mi alzo. Previo unplug del catetere. Nina mi aiuta a mettere slip e pigiama. Mi gira tutto, ho dolori ovunque. Cammino strisciando i piedi mantenendo con la mano sinistra il sacchetto del drenaggio. Che eleganza!
La dottoressa mi incrocia nel corridoio. Bravo Signor Pinelli! Deve camminare. Le consiglio di andare al quarto piano. C'è un terrazzo con una bella vista su Napoli. Nina, che dici? Ci andiamo?
Sì però prima dobbiamo andare al reparto Maxillofacciale.
Entriamo nel reparto. Incrociamo la caposala. Mi scusi, mi sa dire dov'è Michele, il bambino di un anno che è stato operato ieri? Ah, Michele, è andato via ieri. Ma come sta? Tutto bene, tutto bene.
Vai Michele. Sei grosso.
Ascensore. Quarto piano. Terrazza del Vecchio Policlinico.
A vedere quella luce, a sentire il calore del sole, ho avvertito benessere. Anche se ho le forze al minimo.
Sono a digiuno da due giorni. Ma io non mangio? Signor Pinelli se non canalizza non può né mangiare né bere. E porca misera, quando ti servono le scuregge non vengono mai!
Seconda notte, anche questa insonne. Soprattutto per l'Architetto operato di ernia inguinale che ha iniziato a tirare un ronfo da campione. La sorella di Don Pietro, Concetta, in stanza a fare la notte al fratello, ad un tratto si alza, si avvicina al letto dell'Architetto e lo sveglia con schiaffetti sul viso. Architè, architè vi state seccando la gola così. Prendetevi un sorso d'acqua e giratevi sul fianco.
Mi viene un'attacco di risate, soppresso immediatamente dal dolore dei punti. Concetta è stata efficacissima. Grazie. L'Architetto non ronfa più. Cerco di chiudere anche io gli occhi.

La mattina verso le cinque, ecco che finalmente il mio intestino decide di ridestarsi. Come si dice. Do fiato alle trombe. Comunico l'accaduto con orgoglio agli infermieri. Ed ecco la mia agognata colazione. Poca roba. Tè e fette biscottate.
Arriva anche il professore. Mi visita. Tutto bene.
Le due ernie vengono dimesse. Ciao Pasquale, ciao Architetto ronfone. Restiamo io e Don Pietro.
Io però comincio a mangiare. Dieta B (così profetizza Don Pietro che ormai ne sa a paccate). Brodino, spinaci frullati e stracchino. Meglio di niente. Don Pietro, mi dispiace che io mangio e Voi no (gli do del voi, come nella più becera tradizione napoletana). Non Vi preoccupate (anche lui ricambia con il voi) che oggi a me hanno messo la sacchetta al gusto di risotto alla marinara. Don Pietro scherza sempre sulle sacche di alimentazione che ogni giorno gli infermieri gli agganciano al braccio.
Dottoressa ma io domani esco? Signor Pinelli adesso vediamo. Dipende. Ma io sto bene. Ho canalizzato, pisciato, ruttato, ho appetito. Cacato, quello no. Con il drenaggio ho qualche difficoltà motoria ad esibirmi nella tipica posa del defecatore.
La sera passeggio per tutto il reparto. Non voglio stare nel letto. Voglio camminare.
Vado a trovare tutti i pazienti del reparto. C'è Don Nicola, asportazione tratto intestinale, Carmela anche lei colecisti operata il mio stesso giorno, dopo di me. Anna, noduli al seno benigni. Carmine, ricostruzione mandibola. E tanti altri di cui non ricordo il nome ma con cui ho scambiato anche solo una parola per sapere coma andava e per incoraggiare.
A mezzanotte vado a dormire. Sogno. La Riccia, la Bionda, Nina. Insieme. Non era Bruges. Ma era bello lo stesso.

La mattina entrano le infermiere in camera. Pinelli, oggi a casa! Ma vero? E quanto ancora vuole restare qui? Eh, ma io mi sono affezionato a voi. Noi no, vada a casa. (in verità mi adorano) Dov'è la dottoressa? Adesso arriva. Signor Pinelli, allora? Come va? Benissimo, dottoressa. Che faccio? Esco? Sì, il tempo di cambiare le medicazioni e levarle il drenaggio. Yeah!!
Arriva anche Nina. E' felice come me. Torniamo a casa! Oggi!
Signor Pinelli, venga in medicheria. Ecchime! Ho visto che in sala operatoria lei era molto interessato alle apparecchiature. Sì, sono informatico, deformazione professionale. Ma come mi avete operato? In questi due buchi in alto c'erano gli strumenti chirurgici e nel buco dell'ombelico abbiamo inserito il laparoscopio, la telecamera.
Poi l'abbiamo gonfiata si CO2. Anidride carbonica. Gonfiato? Come un palloncino? Sì, abbiamo insufflato anidride carbonica per fare spazio nel suo ventre. Adesso le toglierò il drenaggio. Sentirà un poco di dolore.
Aaaargh!! Un poco?!! Ecco fatto. Arrivederci, Signor Pinelli, ci vediamo tra dieci giorni per i punti.

Casa dolce casa. Ci sono le due nane ad attendermi. Mamma mia come siete cresciute. Ma dai che son passati solo quattro giorni! Vorrebbero abbracciarmi forte. Ma sanno che non possono. Mi alzo la maglietta. Papà sei tutto incerottato! Sì, ma adesso piano piano tutto tornerà come prima.
Anzi, no. Perché adesso, dopo questa avventura, ho capito delle cose fondamentali.
Meglio farsi una visita specialistica che spendere soldi in farmacia, che le scuregge sono importantissime, che è meglio non andare nelle cliniche private, che le specializzande in chirurgia sono tutte gnocche, che stare in un reparto ospedaliero ti riavvicina inesorabilmente alle cose importanti della vita.

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