14 marzo 2015

Formare per lavorare.

E' prematuro. Stiamo al disegno di legge. Dovrà passare il vaglio del parlamento.
Ma così, adesso, a primo sguardo, questa riforma della scuola proposta dall'esecutivo guidato da Matteo Renzi, mi pare abbastanza loffia. E parte, secondo il mio modesto parere, da un assunto errato. E cioè che la scuola debba essere la fabbrica di lavoratori così come ce li richiede il mercato del lavoro.
Ci serve una buona scuola perché l’istruzione è l’unica soluzione strutturale alla disoccupazione, l’unica risposta alla nuova domanda di competenze espresse dai mutamenti economici e sociali.  
Quindi in pratica la scuola pubblica come il nuovo collocamento. Formare per lavorare. Che va anche bene se non fosse l'unica direttrice ispiratrice di tutta la riforma.
C'è una forzatura estrema sull'autonomia scolastica. Si è scelto di puntare tutto su questa nuova figura del SuperPreside, che in pratica diventerà, per utilizzare un termine che oggi si porta assai, un "manager". Sceglierà i docenti (non si capisce ancora come, nella slide si usa la dicitura "Il preside sceglie gli insegnanti dentro un albo"), organizzerà l'organico in modo da scongiurare "le classi pollaio" e (attenzione, attenzione) avrà il potere di decidere chi sono i docenti più meritevoli ai quali andrà un "bonus" in busta paga (prevedo già vagonate di nuovi clientelismi).
Tutta la riforma viaggia, anzi, galleggia in superficie. Sembra tutto semplice. Classi pollaio? Taaac, il preside organizzerà l'organico. Docenti non formati? Taaac, li mandiamo a teatro o al cinema. Scuole fatiscenti? Taaac, ecco i soldi stanziati, pochini ma sempre meglio che niente.
Le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola.
Però continuiamo a dare vagonate di soldi alle scuola private. Che in Italia, spiace sottolinearlo ogni volta, significa "Chiesa Cattolica". Questa potentissima lobby in grado ogni anno, in occasione della chiusura della finanziaria, di riuscire a infilare in extremis sempre e comunque un aumento dei soldi che lo Stato, impropriamente, assegna alle scuole paritarie.
E il Governo Renzi non sfugge a questo diktat, anzi, lo asseconda. 

Poi finalmente, a pagina 30, appare un concreto accenno al vero problema, sempre secondo la mia micro esperienza di genitore con due figlie in età scolastica, della scuola pubblica:
Perché se è importante capire quanti nuovi insegnanti verranno assunti, è ancora più importante capire chi saranno questi insegnanti. E quindi assicurare un concorso in grado di selezionare realmente i migliori candidati, quelli più preparati ma anche con maggiore predisposizione e capacità a trasmettere le proprie conoscenze. Tradotto: i più bravi ad insegnare.
Anche qui. Parole stupende. Ma come farete a selezionare i più bravi? Soprattutto, chi lo farà? E poi. I più bravi. Ma di quale insieme? Non certo in assoluto. Perché oggi i più bravi se li prendono le multinazionali o vanno all'estero. Con stipendi da capogiro. Oggi chi arriva all'insegnamento o è per vocazione o è per "non avevo altro di meglio da fare". Attualmente la scuola pubblica è abbastanza sbilanciata su questa seconda categoria e i migliori che abbiamo magari, invece di stare nelle scuole "di frontiera", ce li teniamo nei licei rinomati.
Ed è il motivo per cui "la buona scuola" resterà un bel documento, colorato, con delle slide fighissime. Poi il lunedì mattina c'è la scuola pubblica italiana.
In bocca al lupo.
Nel frattempo la moglie mi sta parlando benissimo di questo libro. Dice che questa è una "scuola buona".


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